venerdì 10 maggio 2013

DISASTRO DEL VAJONT


A cura di Simone Cioffi e Andrea Santo Sabato  IIIA

Con il termine di disastro del Vajont si è soliti indicare il disastro occorso il 9 ottobre 1963 nel neo-bacino idroelettrico artificiale del Vajont, dovuto alla caduta di una colossale frana dal soprastante pendio montuoso nelle acque del sottostante.
Tutto ciò provocò l’inondazione del fondovalle veneto e la distruzione della città di Longarone.
DESCRIZIONE DEL FATTO 
L'evento fu dovuto ad una frana caduta dal versante settentrionale del monte Toc,  staccatasi a seguito dell'innalzamento delle acque del lago artificiale oltre quota 700 metri (slm) voluto dall'ente gestore per il collaudo dell'impianto. 
I tecnici che avevano lavorato al progetto sapevano perfettamente che la composizione del monte Toc era fangosa e che  a contatto con l’acqua sarebbe franata.  Decisero comunque di costruirla con la speranza che non accadesse niente. 
Fu la sciagura più devastante dell’epoca. Con il termine sciagura si intende una catastrofe provocata dall’ingenuità dell’uomo, ma fatta passare per un disastro naturale.  Alle ore 22.39 di quel giorno, circa 270 milioni di m³ di roccia scivolarono, alla velocità di 108km/h nel bacino artificiale sottostante creato dalla diga del Vajont. L'impatto con l'acqua generò tre onde: una si diresse verso l'alto, lambì le abitazioni di Casso e ricadendo sulla frana andò a scavare il bacino del laghetto di Massalezza; un'altra si diresse verso le sponde del lago e attraverso un'azione di dilavamento delle stesse distrusse alcune località in Comune di Erto e Casso e la terza (di circa 50 milioni di metri cubi di acqua), scavalcò il ciglio della diga, che rimase intatta, ad eccezione del coronamento percorso dalla strada di circonvallazione che conduceva al versante sinistro del Vajont, e precipitò nella stretta valle sottostante.


I circa 25 milioni di metri cubi d'acqua che riuscirono a scavalcare l'opera raggiunsero il greto sassoso della valle del Piave e asportarono consistenti detriti che si riversarono sul settore meridionale di Longarone causando la quasi completa distruzione della cittadina (si salvarono il municipio e le case poste a nord di questo edificio) e di altri nuclei limitrofi e la morte, nel complesso, di circa 2000 persone (i dati ufficiali parlano di 1918 vittime, ma non è possibile determinarne con certezza il numero). È stato stimato che l'onda d'urto dovuta allo spostamento d'aria fosse di intensità eguale, se non addirittura superiore, a quella generata dalla bomba atomica sganciata su Hiroshima. Alle ore 5:30 della mattina del 10 ottobre 1963 i primi militari dell'Esercito Italiano arrivarono sul luogo per portare soccorso e recuperare i morti. Tra questi vi erano soprattutto Alpini, alcuni dei quali appartenenti all'arma del Genio che scavarono anche a mano per riuscire a trovare i corpi dei dispersi. Trovarono anche alcune casseforti, non più apribili con le normali chiavi, in quanto molto danneggiate. Dei circa 2000 morti, sono stati recuperati solo 1500 cadaveri, la metà dei quali non è stato possibile riconoscere.


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