martedì 20 agosto 2013

LO ZERO ARRIVA IN EUROPA

Dall’India, lo zero e il nuovo sistema di numerazione arriveranno in Europa. Non direttamente, ma attraverso gli arabi. Nel secolo IX dopo Cristo, Abu Jafar Muhammad Ibn Musa al-Khwarismi, cioè Mohammed padre di Jafar e figlio di Musa, il Kwarismiano (della provincia persiana di Khoresm) scrisse un libretto di aritmetica nel quale spiegava l’uso dei nuovi numeri, da lui conosciuti attraverso gli scritti dei matematici indiani, alcuni dei quali erano arrivati alla corte di Bagdad.
                         

Il libro ebbe una grande diffusione e, tradotto in latino, probabilmente da Abelardo di Bath, verso il 1120, contribuì a far conoscere anche ai matematici europei il nuovo sistema di numerazione.
La confusione a proposito dello zero era però ancora grande. Veniva considerato un’invenzione del diavolo. Per Guglielmo di Malmsbury, ad esempio, la matematica del mondo arabo, che introduceva lo zero, era "pericolosa magia saracena". 
Si cercava di ridicolizzarlo: 
“Proprio come il pupazzo vorrebbe essere un’aquila, l’asino un leone e la scimmia una regina, così lo zero si dà arie e pretende di essere una cifra” - troviamo scritto in un libro francese del XV secolo. 
Altri gli attribuivano proprietà addirittura divine, come dimostra questo brano, tratto da un celebre manoscritto del monastero di Salem, del XII secolo: 
“Ogni numero nasce dall’Uno e questo deriva dallo Zero. In questo c’è un grande sacro mistero: Dio è rappresentato da ciò che non ha né inizio né fine; e proprio come lo zero non accresce né diminuisce un altro numero al quale venga sommato o dal quale venga sottratto, così Egli né cresce né diminuisce”.

Interpretazioni diverse dunque dello zero, di cui si riconosceva certo l’importanza, anche se non era ben chiaro fino a che punto potesse essere considerato un numero. 
Gerberto d’Aurillac, celebre matematico, destinato a diventare papa Silvestro II nel 999, è stato fra i primi divulgatori delle cifre indo-arabiche e dello zero che aveva conosciuto durante un suo viaggio in Spagna nel 967. Nella rappresentazione dei numeri naturali sull’abaco, Gerberto segnalava l’assenza di un’unità lasciando vuota la colonna corrispondente.
E uno dei primi manuali di presentazione delle nuove cifre è stato il Liber Abaci, scritto da Leonardo Fibonacci nel 1202. Il padre di Fibonacci era un mercante e il commercio lo aveva portato a contatto con il mondo arabo. 
Fibonacci ebbe così modo di studiare sotto la guida di un maestro musulmano e di compiere molti viaggi in Oriente, venendo a conoscenza dei nuovi numeri e dei loro grandi vantaggi nel far di conto. 
evoluzione cifre indo-arabe
“Gli indiani - scrive Fibonacci nel suo libro – usano nove figure: 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1 e con queste, assieme al segno 0, che gli arabi chiamano cephirum, scrivono qualsiasi numero”. Lo zero era diventato cephirum in latino, come traduzione della corrispondente parola araba sifr, traduzione a sua volta del termine sunya che in sanscrito significa “vuoto”. Cephirum o ciphra quest’ultimo termine per indicare poi, in italiano, non solo più lo zero, ma qualsiasi cifra. Mentre Cephirum diventerà zefiro, zevero e finalmente, nel dialetto veneto, zero:
“Et dovete sapere chel zeuero per se solo non significa nulla - scriveva Fibonacci - ma è potentia di fare significare... Et decina o centinaia o migliaia non si puote scrivere senza questo segno 0”. Se già nel Duecento quindi, lo zero e il sistema di numerazione indo- arabico erano universalmente noti in Europa, dovevano però passare ancora diversi secoli prima di una loro definitiva affermazione.



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