mercoledì 3 luglio 2013

GARBAGE PATCH STATE : L'ISOLA DI PLASTICA DIVENTA STATO

GARBAGE PATCH STATE

Avevamo già parlato qui dell'isola di plastica galleggiante nel Pacifico, grande come il Texas.
In effetti esistono  in totale cinque immense isole di plastica, sia nell'Atlantico che nel Pacifico. A seguito di ricerche condotte con una serie ventennale di crociere scientifiche, la ricercatrice Kara Lavender Law ha riscontrato anche nell'oceano Atlantico un'elevata concentrazione di frammenti in corrispondenza all'incirca del Mar dei Sargassi. Simulazioni al computer hanno individuato due altre possibili zone di accumulo di rifiuti oceanici nell'emisfero meridionale: una nell'Oceano Pacifico a ovest delle coste del Cile e una seconda  tra l'Argentina e il Sud Africa.
La plastica arriva solo per il 20% dalle navi e dalle piattaforme petrolifere. L'80% proviene direttamente dalla terraferma, dove ogni anno ne produciamo oltre 250 milioni di tonnellate.

L'INIZIATIVA 

Per denunciare questa situazione – nota a molti, ma poco sottolineata – l’artista italiana Maria Cristina Finucci ha proposto di nominare un nuovo stato, proprio su una di queste immense isole di plastica, chiamato GARBAGE PATCH STATE  Il bello è che la proposta è stata accolta, grazie anche al supporto dell’UNESCO e all’Organizzazione delle Nazioni Unite  per l’Educazione la Scienza e la Cultura, e la terra ha quindi davvero un nuovo stato, fatto interamente di plastica. Lo Stato ha ormai anche una capitale chiamata Garbandiauna costituzione e una bandiera. Maria Cristian Finucci ha inoltre realizzato un’installazione chiamata Wasteland, ricordante il nuovo Stato, e che sarà esposta alla Biennale di Venezia tra il 29 maggio e il 24 novembre.


Come arriva in mare tutta questa plastica?

Perlopiù la colpa è nostra, che gettiamo bottigliette e tappi per strada; essi vengono lavati via dalla pioggia e finiscono prima o poi in un tombino. Da lì si incanalano negli scarichi fognari, che a loro volta spurgano nei fiumi, e non ci vuole Sherlock Holmes per immaginare che fine fanno. Solo una percentuale inferiore al 5% di plastica, in tutto il mondo, viene riciclata.

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Quali sono le conseguenze di questo disastro ambientale sulla vita?

Le più evidenti sono i danni diretti, per ingestione, per soffocamento o per altre  interazioni con delfini, tartarughe e altri grandi animali che vengono a contatto con le parti, meno appariscenti, ma potenzialmente letali di una bottiglietta di plastica, come per esempio l'anello che blocca in posizione il tappo. Questo è ciò che può fare ad una tartaruga marina che sfortunatamente lo incrocia sulla sua strada e decide che può essere divertente passarci dentro.


La plastica, nel tempo, si frammenta, dando luogo ad un vero e proprio minestrone che resta in sospensione per migliaia di anni. Un tempo la sabbia delle spiagge si formava grazie alla frammentazione di rocce e coralli: oggi iniziamo già ad avere le prima spiagge di plastica. Inoltre, centinaia di campionamenti su piccoli pesci, pescati in un'area grande il doppio del Texas, circa dieci miglia al largo delle coste americane, hanno mostrato come oltre un terzo del pescato avesse plastica nello stomaco. Il record appartiene ad un pesciolino lungo appena 6,4 cm, che aveva nella pancia ben 84 piccoli pezzetti di plastica.

Ma cosa succede quando la plastica arriva a triturarsi fino a diventare polvere?

Succede che viene ingerita da moltissimi organismi marini filtratori, che ingurgitano pericolosi composti, come i policlorobifenili, introducendoli di fatto nella catena alimentare.
Ecco come una bottiglietta, gettata via senza criterio, può ripresentarsi sulle nostre tavole e, silenziosamente, condannarci a morte.
Tornare indietro non si può. Gli oceani sono spacciati perché non esiste alcun modo di ripulirli, nè economicamente nè praticamente, ovvero senza dare il colpo di grazia alle specie marine che ancora li popolano. La sola cosa da fare è cerare di limitare i danni facendo molta, molta attenzione a dove gettiamo via la plastica già in circolazione. 
E, possibilmente, evitando di produrne di nuova.


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