Oggi in Italia è stata indetta da Legambiente una manifestazione nazionale durante la quale sarà anche possibile firmare per un referendum che ribadisca il divieto di coltivazione di ogm. Infatti, nonostante una sentenza della Corte europea di giustizia del 2012 abbia di fatto stabilito il diritto degli agricoltori italiani di coltivare tutte le sementi autorizzate a livello europeo, tra cui quelle geneticamente modificate, la palude legislativa italiana lo rende di fatto impossibile; è appunto attesa per il 9 aprile la decisione del Tar del Lazio sull’ammissibilità del ricorso di un agricoltore contro il decreto del 2013 che vieta specificamente la coltivazione del Mais Mon810.
Prima di firmare in massa il referendum, forse però può essere utile dare un’occhiata ad alcune di quelle bufale che di solito si diffondono sugli ogm e di cui abbiamo parlato in un altro post.
Gli ogm hanno più allergeni rispetto alle altre coltivazioni
La degenerazione più popolare di questo mito è quella della fragola-pesce, leggenda metropolitana resa celebre in Italia negli anni ‘90 da Beppe Grillo. Parlando seriamente è invece senz’altro legittimo chiedersi se le nuove proteine introdotte con gli ogm possano dare luogo ad allergie, ma a oggi i dati ci mostrano che nessun prodotto approvato per la commercializzazione ha scatenato reazioni allergiche a esse riconducibili. Non sempre, inoltre, la modifica genetica comporta la produzione di una nuova proteina, e quindi di un potenziale allergene. Anzi, in teoria è possibile produrre piante ipo-allergeniche silenziando selettivamente i geni che codificano per una particolare proteina. Queste molecole non sono poi certo una esclusiva degli ogm: le nuove varietà di piante prodotte in modo convenzionale, sono ugualmente a rischio allergenico e sono pertanto sottoposte a test, e tutte le colture continuano a essere monitorate dopo la messa in commercio.
I semi degli ogm vanno ricomprati ogni anno
Come tutti gli altri. Quello che fate col vostro orto o col basilico sul davanzale è un conto, ma in agricoltura non si conservano quasi mai i semi dalla stagione precedente: è molto più conveniente e pratico comprare sementi selezionate dai produttori, e queste possono naturalmente essere sia ogm che non ogm. Una delle tante ragioni per non farsi i semi in casa se di mestiere fate l’agricoltore è che, ad esempio, in molte specie di piante l’ibrido fra due varietà ha una resa maggiore, ma come il buon Mendel insegna alla generazione successiva, se utilizzassimo la semente raccolta, ricomparirebbero i caratteri delle stirpi parentali.
Le task force anti-biotech ci tengono a presentare gli ogm come un prodotto esclusivo delle multinazionali, e quindi cattivo per definizione. Però gli ogm non si studiano solo nei bunker della Monsanto, esiste anche la ricerca pubblica: il Golden Rice, sviluppato all’università di Friburgo, ne è appunto un esempio. Syngenta, compagnia biotech che consente l’utilizzo gratuito dei suoi brevetti a Università e organizzazioni no-profit.
Il peso delle multinazionali (obiettivamente enorme) potrebbe anche essere ridimensionato estendendo alle biotecnologie la filosofia dell’open source, come sembra stia cominciando a fare
Anche in Italia studiavamo gli ogm. Per 30 anni l’università della Tuscia di Viterbo ha portato avanti un progetto di ricerca su olivi, ciliegi e kiwi transgenici. Nel 2009 era scaduta l’autorizzazione speciale per la coltivazione in campo aperto, ma l’esperimento non poteva considerarsi concluso, così i ricercatori sono andati avanti. A far rispettare la legalità è arrivata sedicente Fondazione Diritti Genetici che si è adoperata perché i campi clandestini venissero rasi al suolo, buttando così al vento milioni di euro di ricerca pubblica UNA VERGOGNA!
E per finire...cosa è naturale e cosa non lo è?
“Alla fine degli anni ‘60 nei laboratori del CNEN (Comitato Nazionale Energia Nucleare, poi trasformato in ENEA), al Centro Studi Nucleari della Casaccia il gruppo del Prof. Scarascia Mugnozza irraggia con raggi X una gloriosa varietà di grano duro, il Cappelli. Come al solito, la stragrande maggioranza dei semi irradiati muore, o produce piante abnormi. Ma una pianticella sopravvive e mostra caratteristiche interessanti. E’ più bassa, più resistente e con rese maggiori del Cappelli. Quel mutante viene incrociato con altre varietà di grano, per trasferire le caratteristiche interessanti, e nel 1974 viene registrato il Creso (i costitutori sono i Dott. Bozzini e Mosconi). Nel giro di pochi anni diventa il grano duro d’elezione, e tutti voi ne avete mangiato a quintali sotto forma di spaghetti, penne, rigatoni, maccheroni etc. Nel 1984 il Creso occupava il 53.3% del mercato italiano di semi certificati di grano, ed era coltivato su 430.000 ettari”. (da Radiazioni nucleari nell’orto, vegetali mutati geneticamente – ma non OGM).
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