Ogni anno in tutto il mondo sono prodotti centinaia di milioni di tonnellate di plastica.
Già negli anni Settanta uno studio dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti stimò che circa lo 0,1 per cento della plastica prodotta ogni anno dall’uomo finisse negli oceani, trasportata dai fiumi, dalle inondazioni e anche a causa della perdita in mare di parte del carico delle navi. Anno dopo anno nei mari si sono quindi sommate enormi quantità di plastica, mosse dalle correnti oceaniche e concentrate in particolari zone del pianeta dove si creano grandi vortici. L’area interessata è la ormai leggendaria Great Pacific Garbage Patch, l’isola galleggiante di spazzatura, un agglomerato di rifiuti trasportati dalle coste attraverso le correnti oceaniche.
In effetti esistono in totale cinque immense isole di plastica, sia nell'Atlantico che nel Pacifico. A seguito di ricerche condotte con una serie ventennale di crociere scientifiche, la ricercatrice Kara Lavender Law ha riscontrato anche nell'oceano Atlantico un'elevata concentrazione di frammenti in corrispondenza all'incirca del Mar dei Sargassi. Simulazioni al computer hanno individuato due altre possibili zone di accumulo di rifiuti oceanici nell'emisfero meridionale: una nell'Oceano Pacifico a ovest delle coste del Cile e una seconda tra l'Argentina e il Sud Africa.
Per ottenere qualche dato più preciso, un gruppo di ricercatori della Malaspina Expedition, un’iniziativa internazionale di monitoraggio degli oceani avviata nel 2010 e coordinata dalla Spagna, ha esplorato per mesi le aree in cui le correnti oceaniche creano i vortici in cui si pensa si accumuli la maggior parte della plastica che finisce in mare. Gli scienziati hanno usato quattro navi e un sistema di reti per raccogliere i rifiuti.
Secondo i calcoli effettuati dopo mesi di ricerca sul campo, l’ammontare complessivo di plastica riscontrabile negli oceani è pari al massimo a 40mila tonnellate. Ma al tempo stesso si sa che la quantità di plastica finita negli anni in acqua è molto superiore rispetto a questo numero. Come ha spiegato uno dei ricercatori che ha partecipato allo studio: “non riusciamo a trovare il 99 per cento della plastica che sappiamo essere negli oceani”.
Si pensa che che la plastica in acqua si degradi molto più rapidamente di quanto inizialmente ipotizzato e che sia mangiata da numerose specie marine. A questo contribuiscono i movimenti ondosi e le radiazioni solari, rendendo i pezzi di plastica tanto piccoli fino a diventare di dimensioni miscroscopiche. Gli animali marini mangerebbero così involontariamente la plastica.
Dopo essere stata ingerita, la plastica potrebbe essere espulsa con le feci. Una ipotesi, più inquietante, è che la plastica, e gli altri inquinanti che si legano alle sue particelle, possano causare accumuli all’interno della carne dei pesci e degli altri animali marini, finendo nella catena alimentare. In questo caso la contaminazione interesserebbe non solo gli animali che vivono nei mari, ma anche le bestie che negli allevamenti sono nutrite con farine di pesce e naturalmente gli esseri umani che mangiano il pescato.
Articolo originale: http://www.ilpost.it/2014/07/02/plastica-oceani/
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