Questo video è stato girato su un'isola nell'oceano che si trova a 2000 km di distanza da qualsiasi altra costa. Non ci vive nessuna persona ed è un paradiso per tutti gli uccelli migratori.
Purtroppo il risultato di un reportage ha portato alla luce una verità agghiacciante che potete vedere in questo video.
L’esistenza di vasto accumulo di rifiuti in diverse parti degli oceani e in molte coste è ormai un dato evidente.
Su Current Biology di questo mese viene fatto il punto della situazione, fra nuove ricerche, ipotesi e soluzioni per risolvere un problema vasto e cruciale.
In circa un mese trascorso a setacciare le acque di Honolulu, un gruppo di 38 ricercatori e volontari con a capo la biologa marina Emelia DeForce, ha raccolto circa 70 mila pezzi di plastica, per un totale di 118 tonnellate.
L’area interessata è la ormai leggendaria Great Pacific Garbage Patch, l’isola galleggiante di spazzatura, un agglomerato di rifiuti trasportati dalle coste attraverso le correnti oceaniche.
Esistono cinque grandi correnti nel mondo, che ruotano in senso orario nell’emisfero boreale e in senso antiorario in quello australe. Sono le grandi arterie degli oceani, attraverso le quali avvengono gli scambi termici e di nutrienti e lungo le quali s’intrecciano le rotte migratorie di uccelli, pesci e tartarughe.
L’intrusione di materiali plastici in queste grandi correnti ha conseguenze varie, come l’ingestione da parte di animali che scambiano buste di plastica per meduse, provocando la morte per soffocamento. Gli Albatros scambiano pezzi di plastica per cibo, dandoli addirittura ai propri piccoli.
E non è l’unico uccello marino ad aver inserito la plastica nella propria dieta: il Fulmaro (Fulmarus glacialis) che vive sulle coste del Nord Atlantico e del Nord Pacifico, è considerato addirittura un indicatore per inquinamento da plastica, per l’accumulo di questo materiale nel suo stomaco.
Rifiuti in una zona dell'Oceano Pacifico |
Secondo Anthony Andrady della North Carolina State University, la plastica che negli anni viene decomposta dall’azione del sole e dell’ossigeno, si trasforma in nanoparticelle che penetrano nell’organismo attraverso l’endocitosi. Per questo anche le plastiche biodegradabili non solo non risolverebbero il problema dell’inquinamento, ma addirittura lo moltiplicherebbero per tutti i miliardi di frammenti che penetrano nei tessuti degli esseri viventi.
Ricercatori del National Oceanic and Atmospheric Administraton hanno affrontato lo stesso problema analizzando campioni di zooplancton raccolti a largo delle coste americane del Pacifico. Anche le conclusioni di questo studio non sono confortanti: il zooplancton, alla base della catena alimentare oceanica, ha a sua volta ingerito nanoparticelle di plastica.
Che si assimilino in maniera chimica attraverso i tessuti o semplicemente mediante ingestione, le particelle hanno conseguenze sugli organismi sia nell’immediato sia per le generazioni future, poiché potrebbero innescare cambiamenti genetici. Se infatti alcuni materiali sono chimicamente inerti, altri sono tossici. Per questo secondo Miriam Doyle , che ha collaborato alla ricerca con il NOAA (the National Oceanic and Atmospheric Administration ).
sul zooplancton del Pacifico, è necessario focalizzare la ricerca sulle tipologie di particelle per capire quale effetto abbiano sull’ambiente.
sul zooplancton del Pacifico, è necessario focalizzare la ricerca sulle tipologie di particelle per capire quale effetto abbiano sull’ambiente.
Campagne del NOAA e di molte associazioni ambientaliste hanno spinto negli ultimi anni la stessa industria a riconsiderare i propri comportamenti: nel sito del NOAA' s Marine Debris Program si trova una lista di industrie che hanno adottato materiali o tecniche per ridurre l’uso di plastica.
Nel frattempo la ricerca prosegue, con dati ancora frammentari, ma con una certezza: le cosiddette isole di plastica sono solo la punta dell’iceberg di un problema tanto più pericoloso quanto più esteso geograficamente e biologicamente. (fonte – gaianews.it/ambiente/la-plastica-entra-nella-catena-alimentare-36367.html#.USx9j1EnaN0)
Veterinari che cercano di salvare un delfino che ha ingoiato della plastica |
La chimica della plastica
- Non conosciamo ciò che c'è nei prodotti di plastica che compriamo - e nemmeno le aziende alimentari. Le materie plastiche possono essere a base di petrolio o gas naturale, ma una volta che si arriva a un produttore di materie plastiche, decine di sostanze chimiche vengono aggiunte per rendere il prodotto rigido, resistente al calore, resistente ai raggi UV, morbido, flessibile. Per ogni funzionalità di una delle materie plastiche c'è una sostanza chimica aggiuntiva.
- Metalli pesanti nella plastica: tra le migliaia di sostanze chimiche possibili aggiunte alle materie plastiche, alcune sono note per essere tossiche - ad esempio, il piombo e il cadmio sono spesso aggiunti ai prodotti in vinile per proteggerli da eventuali danni UV ed altre abbastanza disgustose come il grasso di pollo, usato per rendere l'esterno dei sacchetti di plastica più scivoloso. E abbiamo parlato dio cosa provocano ad esempio i metalli pesanti nei bambini...
- La plastica provoca l'acne: almeno così è per cani e gatti. Molti veterinari consigliano ai proprietari di animali di nutrire cani e gatti in ciotole di vetro, ceramica o acciaio inox perché quelle di plastica permettono ai batteri di riprodursi e moltiplicarsi, causando acne.
- Se gli animali mangiano plastica: la plastica uccide molti uccelli e tartarughe marine. Girano numerose sul web le immagini di tartarughe marine soffocate dalla plastica o uccelli morti con lo stomaco pieno di rifiuti di plastica. In India sono morte decine e decine di mucche per ingestione di plastica per cui molti stati della nazione hanno vietato del tutto i sacchetti di plastica.
- Riciclare non basta: il riciclaggio è solo una semi-soluzione ma non è la soluzione al nostro problema. Un esempio: la maggior parte della plastica che deve essere riciclata viene spesso fusa in impianti che inquinano l'aria e l'acqua locale in un processo gestito da persone che lavorano con poco o nessun equipaggiamento protettivo. È solo rallentando il consumo di plastica che le cose possono cambiare. Come? Comprendo prodotti sfusi ed alla spina, usando contenitori di vetro riutilizzabili e borse per la spesa riutilizzabili, e soprattutto sperperando meno: il consumo critico è il nuovo modello che dovremmo seguire!
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