sabato 26 gennaio 2013

NUMERI PRIMI E CRITTOGRAFIA

Da quando esiste la matematica, si è cercata una regola  che permetta di individuare i numeri primi, cioè quei numeri che sono divisibili soltanto per se stessi e per 1. 
Il grande matematico tedesco Georg Bernhard Riemann nel 1859 introdusse una funzione ( una formula), da allora nota come “zeta di Riemann”, che – si suppone – permette di individuare tutti i numeri primi.
Non si tratta di cosa da poco. E’ noto che esistono infiniti numeri primi, ma capire se un numero è primo o meno può portare via molto tempo. Se il numero è molto elevato, l’impresa è ardua anche per un computer.
La validità della funzione zeta di Riemann è stata verificata per un miliardo e mezzo di casi; ma ciò non rappresenta una dimostrazione della sua validità in generale.
Ci ha provato  anche John Nash, il matematico impersonato da Russell Crowe nel film “A beautiful mind”. 
E’ ormai da trent’anni che John Nash (nato nel 1924, premiato con il Nobel per l’economia nel ’94) convive con una forma grave di schizofrenia, forse dovuta allo sforzo mentale.
Per un matematico trovare la dimostrazione dell’ipotesi di Riemann varrebbe più di tutto l’oro del mondo, ma, anche da un punto di vista venale, un tale risultato varrebbe ben più del milione di dollari messo in palio dal Clay Mathematics Institute. 
Il mondo dei numeri primi è ancora largamente inesplorato. Per questo, e per le loro proprietà matematiche, i numeri primi sono la base di un ampio insieme di codici, in particolare dei codici in uso nell’era di Internet. Chi riuscisse a dimostrare l’ipotesi di Riemann otterrebbe la piena conoscenza di quel mondo, e dunque la capacità di poter violare i codici elettronici.
Erano gli anni ’70 quando tre ricercatori del MIT – Ron Rivest, Adi Shamir e Leonard Adleman – svilupparono l’algoritmo che, a partire dal nuovo millennio, costituisce la base dei cifrari che proteggono la riservatezza dei numeri delle carte di credito, e in generale di qualunque password di accesso online. Il codice si basa sulla scelta di due numeri primi, che ne rappresentano le chiavi; più alti sono, più il codice è sicuro. Il messaggio cifrato che viaggia sul Web, per esempio dalla banca al cliente,è legato al prodotto di quei due numeri; ma risalire, dal prodotto, ai due numeri che l’hanno generato, e quindi violare il codice, è praticamente impossibile, anche per il più potente dei computer.
Per farsi un’idea: in un esperimento effettuato nel 2005, un supercomputer il cui sistema di calcolo radunava la potenza di ottanta processori da 2,2 Giga Hertz impiegò cinque mesi per trovare due divisori primi di un numero di 193 cifre. I numeri utilizzati nella cifratura RSA (così chiamata dalle iniziali dei suoi inventori) sono costituiti, di regola, da trecento cifre decimali.
La cifratura RSA sta rapidamente diventando la protezione standard dei dati ultrasensibili in ambiente internet. Si basa sull’assunto secondo cui fattorizzare un numero molto grande (cioè, trovare tutti i numeri primi che lo dividono) è un’operazione impraticabile da un punto di vista computazionale. Ciò è senz’altro vero allo stato attuale delle conoscenze, ma la ricerca va avanti.
Se venisse dimostrata l’ipotesi di Riemann, se i numeri primi uscissero dal mistero in cui sono avvolti, chissà... Crollerebbe Wall Street? Sprofonderebbe il Nasdaq? 
 “Il mondo degli affari non ha mai prestato tanta attenzione come oggi a quanto accade sulle lavagne dei matematici puri”.
Vedi qui sotto un ulteriore  esempio di codici con doppia chiave.

Ogni utilizzatore si crea la propria coppia di chiavi; la chiave privata viene tenuta segreta e non viene mai rivelata a nessuno (nemmeno alle persone con le quali si comunica); viceversa, la chiave pubblica viene diffusa in vari modi, per esempio depositata in archivi pubblici (keyserver) a disposizione di chi la desideri. È importante che la chiave pubblica sia liberamente accessibile, perché chiunque voglia comunicare con la persona che l'ha generata dovrà preventivamente munirsi di questa, con la quale cifrerà il messaggio da inviargli.

Nessun commento:

Posta un commento